
BOXinBOX, rigenerare i capannoni abbandonati per dare una casa a nuove comunità
Sono migliaia i capannoni abbandonati che punteggiano la pianura padana: ne sono stati censiti 11.000 nel solo Triveneto. Ora dal Friuli-Venezia Giulia parte un progetto che studia il modo di dar loro nuova vita, trasformandoli da relitti di un passato industriale in edifici proiettati nel futuro: uffici o abitazioni dotati di servizi comuni, cortili e spazi verdi, con costi contenuti e un alto tasso di sostenibilità. Evitando, soprattutto, la demolizione e ricostruzione con i relativi costi, economici e ambientali.
Per scoprire come questo ambizioso progetto di riconversione possa diventare una realtà è utile partire da Sacile, in provincia di Pordenone, dove questa idea non è solo stata messa sulla carta, ma realizzata concretamente. Non distante dalla stazione ferroviaria sorge La Marmeria, un fabbricato industriale che dal 1972 ai primi anni 2000 ha ospitato un’attività di lavorazione e distribuzione di materiale marmoreo.
«Oggi questo spazio è la sede del nostro studio e di altre quattro realtà, per quasi 500 metri quadri di uffici» racconta Alessandro Santarossa, partner di corde architetti associati, che dopo oltre 10 anni di abbandono ha acquistato il vecchio capannone con l’intento di restaurarlo, rispettandone l’anima. «Dopo aver verificato la solidità dell’edificio dal punto di vista strutturale, lo abbiamo svuotato, ripulito, bonificato dall’amianto presente sul tetto e adeguato con interventi di manutenzione straordinaria – prosegue l’architetto –. A quel punto l’edificio si presentava come un ombrello: una copertura in grado di proteggere dalla pioggia e dalle intemperie, sostenuta da fondamenta solide».



L’idea rivoluzionaria, a questo punto, è quella di costruire sotto questo “ombrello”, lungo 50 metri e largo poco meno di 20, 12 strutture leggere e facilmente rimovibili, padiglioni che possono essere costruiti senza necessità di fondazioni né rivestimenti impermeabilizzanti, requisiti di legge già forniti dal capannone. «All’interno abbiamo realizzato un sistema di padiglioni leggeri, “appoggiati” sull’edificio esistente, un tipo di architettura che diventa simile all’allestimento di spazi fieristici» aggiunge Santarossa. «Questo sistema ha dato vita a una serie di edifici dotati di finestre e divisi tra loro da piccole piazzette e spazi comuni, un ibrido tra l’interno e l’esterno dell’edificio. Fuori, il piazzale è stato liberato dal marmo dando vita a una grande area verde».
I moduli sono costruiti in legno e lana di roccia – materiale che garantisce l’isolamento termico e acustico –, gli impianti sono posizionati in un’intercapedine tra il pavimento dell’ex marmeria e quello delle nuove strutture. L’illuminazione è garantita, dall’alto, dai finestroni dello shed in copertura e, lateralmente, dalla sostituzione di alcuni portoni esistenti e di parte delle mura perimetrali con materiali semitrasparenti. Le aperture laterali garantiscono anche il passaggio dell’aria.
Rispetto alla demolizione e ricostruzione, i vantaggi sono sia di ordine ambientale, con minore dispendio energetico e produzione di rifiuti e polveri di cantiere, sia economici, con costi di costruzione, secondo le stime, inferiori del 25%, grazie alla valorizzazione delle strutture esistenti e alla leggerezza dei nuovi padiglioni.
«È un vero e proprio upcycling in ambito edilizio – prosegue l’architetto – perché è reversibile, i moduli possono essere smontati facilmente una volta esaurita la loro funzione. Inoltre nei moduli non sono presenti tutti quei materiali derivanti dal petrolio che, negli edifici di edilizia in legno tradizionale, sono necessari per soddisfare i requisiti di impermeabilizzazione».
Parte da questa buona pratica il progetto di ricerca BOXinBOX - Piano strategico per la riconversione del patrimonio industriale dismesso in micro-comunità, ideato da cinque aziende e finanziato dall’Unione Europea all'interno dell'ecosistema dell'innovazione iNEST, nell’ambito delle attività dello Spoke 4 - City, Architecture, Sustainable design, guidato dall’università IUAV di Venezia. Le imprese partner del progetto sono la capogruppo Co.SP.EDIL srl, Zanutta spa, De Blasio Associati srl, Moretto Demolizioni srl e Infofactory srl, con la consulenza dello studio corde architetti associati. Un insieme di competenze che vanno dalle costruzioni all’impiantistica e sensoristica, dalle demolizioni ai materiali edili, fino ai saperi digitali.
Obiettivo del progetto, che si concluderà nell’ottobre 2025, è la riconversione del patrimonio industriale dismesso del Friuli-Venezia Giulia in micro-comunità residenziali. Le attività in corso includono la mappatura dettagliata di questo patrimonio, l'individuazione di soluzioni sostenibili e la creazione di prototipi, attivati tramite una piattaforma digitale che facilita la collaborazione tra stakeholder. Tramite il sito boxinbox.it, sarà possibile visualizzare una mappatura dei siti dismessi e dei relativi siti pilota estrapolati, analizzare gli scenari e le strategie di riconversione proposte, valutandone i costi/benefici, così da capire se e come applicare la strategia boxinbox ad un proprio caso specifico o contattare il team di ricerca per avere maggiori informazioni.
«Dopo aver lavorato per tre anni qui alla Marmeria abbiamo compreso che spazi come questo potrebbero avere altre funzioni, rispondendo alle esigenze residenziali di diverse fasce sociali – conclude Alessandro Santarossa –. Giovani coppie che non riescono ad accedere a un mercato immobiliare sempre più costoso, famiglie alla ricerca di uno stile di vita più comunitario, anziani autosufficienti a basso reddito. Vogliamo dar vita a luoghi in cui recuperare una dimensione del vivere collettivo che è andata perduta».